Ci trattenemmo nel cortile pių d'un'ora, che ci passō come un lampo; ed anch'io feci quello che fanno tutti in quel luogo, spagnuoli e stranieri, uomini[421] e donne, poeti o non poeti che siano. Feci scorrer la mano sui muri, toccai tutte le colonnine, le strinsi colle due mani una per una come la vitina d'una bimba, mi ci nascosi in mezzo, le contai, le guardai da cento parti, percorsi il cortile in cento sensi, provai se era vero che dicendo una parola sottovoce in bocca a uno dei leoni, la si sentiva distintamente dalla bocca di tutti gli altri; cercai sui marmi le macchie di sangue delle leggende poetiche, mi stancai gli occhi e la mente sugli arabeschi. Vi eran parecchie signore. Le signore, nel cortile dei Leoni, fanno ogni sorta di fanciullaggini; mettono il viso fra le colonne gemelle, si nascondono negli angoli oscuri, siedono in terra, stanno per ore immobili colla testa appoggiata sulla mano, sognando. Quelle signore facevan cosė. Ve n'era una vestita di bianco che, passando dietro alle colonne lontane, quando credeva di non esser veduta, pigliava una certa andatura molle e maestosa di sultana melanconica, e poi rideva con una sua amica: era incantevole. Il mio amico mi diceva: "Andiamo," e io rispondevo: "Andiamo," e non potevo muovermi. Non provavo soltanto un sentimento dolcissimo di meraviglia; ma fremevo di piacere, e avevo addosso una smania di toccare, di frugare, che so io, di veder dentro quei muri e quelle colonne, come se fossero d'una materia arcana, e si dovesse scoprire nelle loro intime parti la causa prima del fáscino che quel luogo esercitava.
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Spagna
di Edmondo De Amicis
Barbera Firenze 1873
pagine 422 |
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Leoni
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