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      Era uno spettacolo dinanzi al quale, i miei compagni, nati a Granata, ed abituati a vederlo fin dalla infanzia, restavano senza parola, così che facevamo lunghi tratti di cammino in silenzio, ciascuno immerso nei suoi pensieri, col cuore compreso d'una mestizia dolcissima che a volte ci faceva inumidir gli occhi e alzar il viso al cielo con uno slancio di gratitudine e di tenerezza.
     
      Il giorno del mio arrivo a Granata, quando rientrai all'albergo, a mezzanotte, invece del silenzio e della quiete, trovai il patio illuminato come una sala da ballo, gente ai tavolini che sorbiva granite,[434] gente su nelle gallerie che andava e veniva, chiaccherando e ridendo; e mi toccò aspettare un'ora prima di andare a dormire. Ma passai quell'ora molto gradevolmente. Mentre stavo guardando una carta di Spagna affissa alla parete, un omaccione col viso color di barbabietola e una pancia che gli cascava sulle ginocchia, mi si avvicinò, e toccandosi il berretto, mi domandò s'ero italiano; risposi di sì, ed egli soggiunse sorridendo:-"Ed io pure; io sono il padrone dell'albergo."
      Me ne rallegro, tanto più che vedo che lei ci si fa d'oro.
      Dio buono....
      mi rispose con un tuono che voleva parer melanconico; "sì.... non mi lamento; ma.... me lo creda, caro signore, per quanto gli affari vadan bene, quando si è lontani dal proprio paese, qui (e si mise una mano sull'enorme torace) qui si sente sempre un vuoto!"
      Gli guardai la pancia.
      Un gran vuoto,
      ripetè l'albergatore; "la patria non si dimentica mai... Di che provincia è lei, signore?


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Spagna
di Edmondo De Amicis
Barbera Firenze
1873 pagine 422

   





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