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      Bevve il terzo bicchiere, malgrado i buoni consigli e le disapprovazioni degli amici, e dopo aver cicalato un altro po' in mezzo alle risa dell'uditorio, all'improvviso tacque, guardò fisso fisso una signora che aveva dirimpetto, abbassò la testa e s'addormentò. Io credetti che per quel giorno non si sarebbe presentato all'esame; ma m'ingannai. Un'oretta[453] dopo lo svegliarono, andò su a lavarsi il viso, corse all'Università ancora tutto assonnato, diede l'esame, e fu promosso a maggior gloria del vino di Jerez e della diplomazia spagnuola.
     
      I giorni seguenti gl'impiegai a vedere i monumenti, o per dir meglio, le rovine dei monumenti arabi che, oltre all'Alhambra e al Generalife, attestano l'antico splendore di Granata. Poichè fu l'ultimo baluardo dell'Islam, Granata è fra le città di Spagna quella che ne serbò più numerosi ricordi. Sulla collina che si chiama di Dinadamar (fonte delle lagrime), si vedono ancora le rovine di quattro torri, che s'innalzavano ai quattro angoli d'una grande cisterna, nella quale affluivano dalla Sierra le acque che servivano agli usi della parte più alta della città. Là eran bagni, giardini e ville, delle quali non rimane più traccia, e di là si abbracciava con un colpo d'occhio la città coi suoi minareti, colle sue terrazze, colle sue moschee biancheggianti in mezzo alle palme e ai cipressi. Là presso si vede ancora una porta araba, chiamata porta d'Elvira, formata da un grande arco coronato di merli. Più oltre rovine di palazzi di Califfi. Presso il passeggio l'Alameda, una torre quadrata, con entro una gran sala ornata di quelle solite iscrizioni arabe.


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Spagna
di Edmondo De Amicis
Barbera Firenze
1873 pagine 422

   





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