Nel mezzo d'ogni strada correva un rigagnolo dentro un letto in muratura all'uso arabo; qua e là, sopra le porte e intorno alle finestre, si vedevano resti di arabeschi e frammenti di colonnine; negli angoli delle piazze, fontane e pozzi del tempo della dominazione dei Mori. Ad ogni centinaio di passi che si faceva, pareva di tornar addietro di cinquant'anni verso l'età dei Califfi. I miei due compagni mi toccavano tratto tratto col gomito dicendo:-Guardi quella vecchia-Guardi quella bambina-Guardi quell'uomo.-Ed io guardavo e dimandavo:-Che gente è questa?-Se mi fossi trovato là all'improvviso, avrei creduto, al veder quegli uomini e quelle donne, di essere in un villaggio dell'Affrica; tanto i visi, il vestire, il modo di muoversi, di parlare, di guardare,-a così breve distanza dal centro di Granata,-eran diversi da quelli della gente che avevo vista fino allora. Ad ogni svoltata, mi fermavo per guardare in volto i miei compagni, e questi mi dicevano:-Questo non è nulla; qui siamo nella parte civile dell'Albaicin; questo è il quartiere parigino del sobborgo; andiamo oltre.
Andammo oltre; le strade parevan letti di torrenti, sentieri scavati nelle roccie, tutte rialzi, fossi, scoscendimenti, macigni; alcune ripide da non poterci[458] salire un mulo, altre strette da passarci un uomo a stento; quali ingombre di donne e di fanciulli seduti in terra; quali erbose e deserte e tutte d'un aspetto squallido, selvaggio, strano, del quale non potrebbe fornire neanco un'immagine il più meschino dei nostri villaggi, perchè quella è una miseria che serba l'impronta d'un'altra razza e i colori d'un altro continente.
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Spagna
di Edmondo De Amicis
Barbera Firenze 1873
pagine 422 |
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