Girammo per un labirinto di strade, passando di tempo in tempo sotto un grande arco arabo o per un'alta piazzuola dalla quale si abbracciava con uno sguardo la valle immensa, i monti coperti di neve e una parte della cittą sottoposta, e arrivammo alla fine in una strada pił sassosa e pił angusta di quante s'eran viste fino allora, nella quale ci arrestammo per pigliar fiato.
-Qui-mi disse il giovane archeologo-comincia il vero Albaicin. Guardi quella casa!-Guardai; era una casa bassa, affumicata, mezzo rovinata, con una porta che pareva la finestra d'una cantina, dinanzi alla quale si vedeva movere sotto un ammasso di cenci, un gruppo, o piuttosto un mucchio di vecchie e di bambini, che al nostro apparire alzarono gli occhi pieni di sonno e colle mani scarne tolsero di sulla soglia non so quali immondizie che impedivano il passo.
Entriamo,
disse l'amico.
Entrare?
domandai.
Se m'avessero detto che di lą da quel muro v'era un quissimile della famosa Corte dei Miracoli che descrisse Vittor Hugo, non avrei esitato a credere. Nessuna porta m'aveva mai detto pił imperiosamente[459] di quella:-Allontanati.-Non saprei trovarle miglior paragone di quello della bocca spalancata d'una gigantesca strega, che mandasse un alito pregno di miasmi pestilenziali. Ma mi feci coraggio ed entrai.
Oh meraviglia! Era il cortile d'una casa araba, cinto di colonnine graziose, sormontato da archi leggerissimi, con quegli indescrivibili ricami dell'Alhambra intorno alle porticine e alle finestrine binate, colle travi e gli assiti del soffitto scolpiti e coloriti, colle nicchiette per i vasi dei fiori e le urne dei profumi, col bagno nel mezzo, con tutte le traccie e i ricordi della deliziosa vita d'una famiglia opulenta!
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Spagna
di Edmondo De Amicis
Barbera Firenze 1873
pagine 422 |
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