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      S'abbottoni il soprabito e badi all'orologio,
      mi disse il Gongora; "e andiamo avanti."
      Non avevamo fatto cento passi quando un ragazzo seminudo, nero come le pareti del suo tugurio, ci scorse, gettò un grido, e facendo cenno ad altri ragazzi che lo seguissero, si slanciò verso di noi; dietro i ragazzi accorsero le donne; dietro le donne, gli uomini; e poi vecchie e vecchi e altri bambini; e in men che non si dice fummo circondati da una folla. I miei due amici, riconosciuti come Granatini, riuscirono a mettersi in salvo; rimasi io solo nelle péste. Mi pare di vedere ancora quei ceffi, di udire ancora quelle voci, di sentirmi ancora addosso quelle mani. Gesticolando, gridando, dicendo mille cose che io non capivo, tirandomi per le falde, pel panciotto, per le maniche, mi si stringevano addosso come un branco[464] d'affamati, mi alitavan nel viso, mi mozzavano il respiro. Eran la più parte seminudi, macilenti, colle camicie che cadevano a brani, coi capelli scarmigliati e polverosi, orribili a vedersi; mi pareva d'esser Don Rodrigo in mezzo alla folla degli appestati in quel famoso sogno della notte d'agosto. Che vuole questa gente? mi domandavo; dove mi son lasciato condurre? Come uscirò di qui? Provavo quasi un senso di paura e guardavo intorno con inquietudine. A poco a poco cominciai a capir qualcosa.
      -Io ho una piaga in una spalla,-mi diceva uno;-non posso lavorare; mi dia qualche soldo.
      -Io ho una gamba rotta,-diceva un altro.
      -Io ho un braccio paralitico.
      -Io ho fatto una lunga malattia.


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Spagna
di Edmondo De Amicis
Barbera Firenze
1873 pagine 422

   





Gongora Granatini Don Rodrigo