Era notte; non c'era da esitare; pigliammo la corsa, come scolaretti, alla volta della città. Allora ci scoppiò alle spalle un gridío di casa[467] del diavolo e i più lesti si misero ad inseguirci. Grazie al cielo, dopo una breve galoppata, ci trovammo al sicuro, stanchi, ansanti, coperti di polvere; ma salvi.
A qualunque costo,
mi disse ridendo il signor Melchiorre, "bisognava scappare; se no si sarebbe tornati a casa senza camicia."
E noti,
soggiunse il Gongora, "che non abbiamo veduto che le porte del borgo dei gitani; la parte civile; non si può dire il Parigi, nè il Madrid; ma almeno la Granata dell'Albaicin; se fossimo andati oltre! se lei avesse veduto il resto!"
Ma quante migliaia sono questa gente?
domandai.
Non si sa.
In che modo vivono?
Non si capisce.
Che autorità riconoscono?
Una sola: los reyes (i re), capi delle famiglie o delle case, quelli che hanno più danari e più anni. Essi non escon mai dal loro borgo, non sanno nulla, vivono al buio di tutto ciò che accade fuor della cerchia delle loro case. Le dinastie cadono, i governi si trasformano, gli eserciti si battono, ed è un miracolo se ne giunge la notizia fino al loro orecchio. Domandi loro se Isabella è ancora sul trono o no: non lo sanno. Domandi loro chi è Don Amedeo: non ne hanno mai inteso il nome. Nascono e muoiono come le mosche, e vivono come secoli fa, moltiplicandosi senza uscire dai propri confini; ignoranti e ignorati, non vedendo altro in tutta la loro vita fuor[468] che la valle che s'apre sotto i loro piedi e l'Alhambra che torreggia sul loro capo.
| |
Spagna
di Edmondo De Amicis
Barbera Firenze 1873
pagine 422 |
|
|
Melchiorre Gongora Parigi Madrid Granata Albaicin Isabella Don Amedeo Alhambra
|