Valenza è tutta piena di ricordi del duca d'Aosta. Il sacrestano della cattedrale possiede un cronometro d'oro, colle sue iniziali in diamanti, e una catena imperlata, regalatagli da lui quando andò a pregare nella capella di Nuestra Señora de los Desamparados. Nell'Ospizio di questo nome i poveri si ricordano d'aver un giorno ricevuto dalla mano sua il loro pane quotidiano. Nell'opificio di musaici di un tal Nolla si conservan due mattoni, sull'uno dei quali egli incise di suo pugno il proprio nome, e sull'altro il nome della regina. Nella piazza di Tetuan il popolo addita la casa del conte di Cervellon, nella quale ei fu ospitato; che è la casa medesima dove Ferdinando VII firmò nel 1814 i decreti che annullavano la Costituzione, dove abdicò la regina Cristina nel 1840, dove passò alcuni giorni la regina Isabella nell'anno 1858. Infine, non v'è angolo della città nel quale non si possa dire: qui strinse la mano a un popolano; qui visitò un opificio, qui passò a piedi, lontano dal suo seguito, circondato da una folla, fiducioso, sereno, sorridente.
E fu appunto Valenza, poichè sono a parlare del duca d'Aosta, fu Valenza la città nella quale una bambina di cinque anni, recitandogli dei versi, toccò quel terribile argomento del Rey extranjero colle più nobili[473] e più sensate parole che si sian forse pronunziate in Spagna da parecchi anni a questa volta; parole che se tutta la Spagna avesse raccolte e meditate, forse ella si sarebbe risparmiate molte delle calamità che l'hanno colpita e che l'aspettano; parole che forse, un giorno, qualche spagnuolo rammenterà sospirando, e che già fin d'ora traggono dagli avvenimenti una luce meravigliosa di verità e di bellezza.
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Spagna
di Edmondo De Amicis
Barbera Firenze 1873
pagine 422 |
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