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      Chi gli fu più vicino ricorda poi com'egli avesse felice la vena del breve detto d'occasione e del brindisi, sì nelle pubbliche cerimonie, sì nei conviti amichevoli, che gli piacevano tanto al suo tempo migliore, e nei quali studiò da par suo le significazioni e le bizzarrie dell'Eloquenza convivale.
      Un senso nativo della misura e dell'opportunità governava sempre la sua parola; e il culto interiore della parola stessa, il vigile intuito dell'artista faceva sì che, qualunque cosa, in qualunque circostanza dicesse, non gli venisse, mai meno quel decoro letterario, che non lascia perdere dignità ad alcuna delle sue scritture, anche alle più umili e famigliari. D'ordinario non improvvisava; diceva prosa scritta, ma scritta per essere parlata, e però colorita e mossa secondo l'intento oratorio che si proponeva. E del resto parlata, per suo istinto e per suo istituto, era tutta la prosa del De Amicis; parlata fu virtualmente tutta quanta la sua opera letteraria, la quale tanto può sui lettori perchè a tutti fa l'effetto di una conversazione immediata dello scrittore con loro.
      Egli non diede alle stampe tutte le sue conferenze, non tutti i suoi discorsi lasciò raccogliere. Pubblicò prima nel 1880, insieme con quelle di dieci altri amici, la conferenza sul Vino, ora entrata nelle nuove edizioni delle Pagine allegre; e l'anno dopo, nella Gazzetta letteraria di Torino, quella su L'espressione del viso, che aveva fatto al teatro Carignano per sovvenire ai figli del morto amico Roberto Sacchetti.


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Speranze e glorie
Le tre capitali: Torino-Firenze-Roma
di Edmondo De Amicis
F.lli Treves Editore Milano
1911 pagine 248

   





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