E in fatti: il Mazzini era un apostolo, non potente che per la forza della parola, la quale nč a tutti giunge, nč da tutti č intesa, ed ha effetti sparsi e lenti; oltrechč al Mazzini mancō la virtų abbagliante della fortuna. Il Cavour era un grande uomo di Stato; ma solitario e quasi invisibile al popolo nella sua altezza,; nč la natura del suo genio nč quella della sua opera eran tali da essere pienamente comprese e da poter suscitare l'entusiasmo delle moltitudini lontane dal campo in cui egli operava. Vittorio Emanuele era un re popolare e guerriero; ma non era figlio del popolo; e la sua forza, la sua azione era cosė complessa e commista con quella del suo governo, informata d'elementi cosė diversi, palesi ed occulti, facili e non facili a comprendersi e a valutarsi, che non potevano le plebi, in specie quelle del mezzogiorno, vedere come incarnata in lui la rivoluzione d'Italia e quasi inviscerarsi la sua gloria e sentire nel proprio sangue il suo sangue. Ora Garibaldi raccolse in sč tutto quello che a quei tre italiani insigni mancō. Ebbe la fortuna che fallė al Mazzini, l'aureola maravigliosa che non ebbe il Cavour, e quel fascino di guerriero combattente per impulso e vincente per genio e per valore proprio che non poteva avere Vittorio Emanuele; e aggiunse a tutto ciō una potenza infinita di farsi amare. Questo era necessario all'Italia. Dieci milioni d'italiani, sciogliendosi dall'odio mortale che li aveva scatenati contro la tirannia borbonica, si ritrovarono con l'immenso amore di Garibaldi nel cuore.
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Speranze e glorie
Le tre capitali: Torino-Firenze-Roma
di Edmondo De Amicis
F.lli Treves Editore Milano 1911
pagine 248 |
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