A noi che non misuriamo il tempo con la impazienza ardente che agitava gli animi allora pare un assai breve tratto quello che trascorse dal luglio del '59 all'aprile del '60; ma allora i mesi contavano per anni. Parevan già tanto lontane, dopo men d'un anno, le belle vittorie di Palestro e di San Martino, dopo le quali nessun fatto era più seguito che facesse rialzar la fronte agli italiani, e riaccendesse la loro fede nel proprio ideale e nella propria forza! Che erano i moti per cui s'eran liberate le provincie centrali? Avvenimenti fausti e onorevoli; ma non glorie guerriere. Dopo quella grande ebbrezza dei trionfi sul campo riusciva meschina e quasi vile l'azione diplomatica lenta, circospetta, coperta, che dava alimento ai più strani timori e offriva bersaglio alle più nere accuse. Occorreva qualche grande cosa. Il popolo, la gioventù sentiva questo bisogno, e fremeva, e si volgeva intorno, rodendo il freno, aspettando che da qualche parte s'alzasse una bandiera e suonasse uno squillo di tromba. Era un ribollimento di desideri, d'ire, di rammarichi, di discordie, che, se tra poco non si fosse aperto loro una via di fuga, sarebbero forse scoppiati in guerra civile.
E allora comparve Garibaldi. Diciamo: comparve allora, perchè la sua vera e grande popolarità non cominciò per tre quarti d'Italia che nel 1860. Allora si sentì quella sua voce magica che a traverso al mar Tirreno chiamava la gioventù italiana alla santa crociata di Sicilia, e c'era giunta appena la notizia del suo ardimento, che due vittorie inaspettate, l'una sull'altra, come due colpi di fulmine, facevano un'eco immensa al suo grido.
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Speranze e glorie
Le tre capitali: Torino-Firenze-Roma
di Edmondo De Amicis
F.lli Treves Editore Milano 1911
pagine 248 |
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