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      E perfino nelle carceri e nelle galere, dove freme l'omicida non pentito, meditando nuovi delitti, si vide qualche volta anche in quel fango umano, tocco dal caldo raggio della sua gloria, sbocciare il fiore d'un entusiasmo generoso, si sentì anche dalle bocche più nefande pronunciare il suo nome come una parola di redenzione e d'amore. Se altro egli non avesse fatto sulla terra, avrebbe diritto per questo solo alla benedizione della patria e alla gratitudine del mondo.
     
      E tutto questo, che par leggenda, è storia, o meglio: è l'una e l'altra cosa ad un tempo, poichè di leggenda la vita di Garibaldi presenta già la vaga e grandiosa bellezza, nè ha più bisogno, come quella d'altri uomini somiglianti, d'acquistar nulla col tempo dall'immaginazione umana. Che cosa le potrebbe aggiungere, in fatti, la fantasia popolare se già ora la mente del popolo stenta a crederla e ad abbracciarla intera nella sua realtà quasi ancora parlante e visibile? E la maggior prova di questa apparenza di prodigio storico che ebbe Garibaldi nel tempo nostro è la difficoltà quasi insuperabile che trovarono molti contemporanei della classe colta, anche d'intelligenza non volgare, ma chiusa in uno stretto cerchio di idee, e d'animo non ignobile, ma freddo, a comprenderlo e ad ammirarlo. Non iscoprivano la ragion vera della sua enorme potenza, che attribuivano a una quasi miracolosa cospirazione di fortune propizie, in cui non avesse parte alcuna, o poco più che nulla, la virtù sua; scambiavano i suoi eroici errori di fanciullo sublime con aberrazioni vanitose d'un cervello angusto; giudicavano mostruosità quello che in lui era grandezza, e su questa pedanteggiavano, giungendo fino a riprovare come sconveniente e risibile la sua foggia singolare di vestire, divenuta ora gloriosa e incancellabile dalla mente delle generazioni come la divisa del Buonaparte, poichè non comprendevano da che varie e intime ragioni di sentimento poetico della vita, di amabile giovinezza d'animo, di sprezzo istintivo d'ogni servitù e d'intuito dell'istinto artistico del nostro popolo anche quella sua originalità derivasse.


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Speranze e glorie
Le tre capitali: Torino-Firenze-Roma
di Edmondo De Amicis
F.lli Treves Editore Milano
1911 pagine 248

   





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