- Non era più Garibaldi. La folla immensa, ch'era preparata a festeggiarlo con la sua gran voce di mare in tempesta, taceva, costernata, e lo guardava con un senso di stupore e di sgomento. No, nessuno poteva rassegnarsi a credere che Garibaldi non si sarebbe più levato da quel simulacro di feretro su cui si mostrava. Che la legge della vita colpisse inesorabilmente tutti gli altri, che la vecchiaia, che le infermità atterrassero col tempo ogni pianta umana più salda e più superba, si capiva; ma che avessero incatenato anche quel braccio, spento anche quello sguardo, prostrato anche quella forza, pareva quasi un errore, una violenza crudele della natura. Pareva di vedere la gioventù stessa d'Italia e tutti i nostri passati entusiasmi distesi là moribondi sotto quella specie di mantello funebre che avvolgeva il corpo dell'eroe. Le fronti si scoprivano, le mani si tendevano verso di lui, gli occhi lo accompagnavano, umidi di pianto; ma le bocche rimanevan mute. Solo un mormorio diffuso e dolcissimo, come una preghiera sommessa della moltitudine, lo precedeva e lo seguiva. Eran le voci dei giovani della nuova generazione, che mormoravano: - Noi che non abbiamo combattuto, non combatteremo più oramai al suo fianco. - Eran le voci delle donne del popolo che dicevano ai ragazzi: - Guardatelo bene perchè presto morirà. - Erano i suoi vecchi compagni d'armi che sospiravano: - Non lo rivedremo mai più! - Era la città delle cinque giornate che dava al capitano delle trenta vittorie l'addio supremo!
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Speranze e glorie
Le tre capitali: Torino-Firenze-Roma
di Edmondo De Amicis
F.lli Treves Editore Milano 1911
pagine 248 |
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Garibaldi Garibaldi Italia
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