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      Io non guidai sul colle i miei Trecento a Dite,
      La libertà sul labbro e la conquista in cor!
     
      E non s'arresta a Zama, dove gridano il suo nome i soldati di Scipione, sgominatore d'Annibale:
     
      E voi giacete! Io passo! Troppi eravate in campo!
      E i numidi elefanti v'apersero il sentier.
     
      E trascorre oltre il campo di Munda, sordo alle voci dei legionari di Cesare, ai quali rinfaccia il motto del capitano:
     
      Sul colle io per la patria pugnai, non per la vita:
      Vincitori di Munda, lasciatemi passar!
     
      E attraversa fiumi e monti, passa il Pirene, giunge in Provenza, si sofferma sul Rodano dove Mario distrasse i Teutoni; ma non s'arresta alla voce dei soldati di Mario, perchè sul sacro colle egli non attese, scrutando le stelle, l'ora in cui potesse combattere con la certezza della vittoria.
      E varca le Alpi e scende in Lombardia; ma, sospinto dal ricordo della pace di Costanza, neppure a Legnano si arresta, perché
     
      Se non dà frutti il sangue che val gloria d'allori?
      Se libertà non germina, che val d'armi virtù?
      Morti feconde io cerco, non vinti o vincitori;
      Morti feconde e libere, tra quei che non son più.
     
      E giunge finalmente sulla riva del Tevere, in vista di San Pietro, davanti a un'ara modesta, donde cento voci fioche lo salutano:
     
      Noi pur, noi pur pugnammo in cinque contro venti,
      E non fu indarno, o patria, nè il sangue, nè il morir!
     
      A noi non la vittoria, ma dei fiacchi lo scherno:
      Non i felici oròscopi, ma il pallido dover:
      Non fratricidi allori, ma l'abbandon fraterno:
      Non di tiranni il soldo, ma il raggio d'un pensier.


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Speranze e glorie
Le tre capitali: Torino-Firenze-Roma
di Edmondo De Amicis
F.lli Treves Editore Milano
1911 pagine 248

   





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