E se anche qualche volta, se anche molte volte, nel flagellare i trafficatori della propria coscienza e i depredatori del danaro pubblico, egli fosse trasceso - supposto che in questo si possa trascendere - molto, tutto si dovrebbe condonare a chi per questo riguardo era uno dei pochi invulnerabili e puri, e dei pochissimi in cui la purità fu merito vero. In tutta la sua vita non v'è traccia nè indizio d'un atto compiuto per iscopo d'interesse materiale. Alla patria diede tutto e non chiese nulla. Dandosi alla politica, sposò la povertà. E non si diede alla politica, come altri, per esser fallito all'arte e alle lettere; le si diede nel colmo dei suoi trionfi d'artista. Ebbe offerte di cattedre e le rifiutò; avrebbe potuto trarre guadagni dalla sua penna feconda di pubblicista, e se ne astenne per dignità di tribuno; avrebbe potuto trarne dal teatro, solo che avesse rallentato alquanto la sua opera politica, e non lo fece per sentimento altissimo del suo dovere di cittadino. Quelle prolungate polemiche, che si dicevan mosse da spirito di ambizione e d'orgoglio, non erano soltanto per lui uno sforzo doloroso dell'animo, ma un dispendio enorme di tempo e di lavoro, ch'egli scontava poi in privazioni d'agiatezza, di libri, di svaghi desiderati. La sua spesa quotidiana era quella d'uno degli impiegati più modesti, la sua abitazione a Roma una camera di studente, la sua villa di Dagnente una povera bicocca; e al vestire non si sarebbe distinto quasi mai da un operaio di buon salario.
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Speranze e glorie
Le tre capitali: Torino-Firenze-Roma
di Edmondo De Amicis
F.lli Treves Editore Milano 1911
pagine 248 |
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Roma Dagnente
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