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      E tra l'una e l'altra di queste infinite cure pubbliche e private egli trovava il tempo di nutrir di nuovi studi lo spirito, di raccoglier documenti intorno alle quistioni del giorno, di gittare nella forma poetica le sue gioie, le sue tristezze, i suoi sogni. Bene qualche volta si rifugiava nel suo romitorio di Dagnente per prender respiro; ma lo raggiungevano là pure, da ogni parte, i telegrammi, le lettere, le sollecitazioni d'ogni forma, e vi facevano in pochi giorni una piena che lo travolgeva e lo risospingeva al lavoro. Una voce inesorabile, appena egli chiudesse gli occhi, gli gridava: - Dèstati, scrivi, parla, combatti, va! - Ma io sono stanco - rispondeva. - Fa uno sforzo. - Ma io son malato. - Non importa. - Ma io m'accorcio la vita. - È il tuo destino. - Ed egli si destava, scriveva, parlava, combatteva. - Diceva ultimamente, a Torino, passandosi una mano sulla fronte con un suo gesto abituale: - Ah! se potessi riposare per un anno.... per qualche mese.... Ma non posso. - E pareva rassegnato. Un solo pensiero lo turbava: il pensiero di una vecchiezza inferma, in cui non avrebbe più potuto lavorare nè combattere, e sarebbe rimasto in un canto, inutile come una spada arrugginita. E soggiungeva: - Vorrei morir prima! - Fu pago il suo desiderio, sventuratamente. La nobile spada non s'arrugginì - s'infranse - e passerà lungo tempo, pur troppo, prima che sul campo di battaglia dove egli cadde ne baleni un'altra così prode, così tersa, così gloriosa.
     
      Ma egli fu ben altro, e ben di più che la spada d'un partito.


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Speranze e glorie
Le tre capitali: Torino-Firenze-Roma
di Edmondo De Amicis
F.lli Treves Editore Milano
1911 pagine 248

   





Dagnente Torino