E si gira in mezzo a file di bottegucce che han tutto fuor dell'uscio fra odori di formaggi, di scarpe, d'olio, d'acciughe, in un puzzo di stantìo e di rinserrato, in una mezza luce di crepuscolo, fra un va e vieni fitto di gente affrettata che si stringe al muro per lasciar passare carri e carrette, che ingombrano tutta la strada, e si vedono fra quella gente certe figure che non si ritrovano che là: beghinette incartocciate a cui si domanderebbero i connotati di Carlo Emanuele III, droghieri vecchi come le strade, che han l'aria di aver militato contro la Spagna, mummie d'orefici secolari, a cui vien voglia di dare, passando, la notizia fresca dell'unificazione d'Italia. C'è in tutta quella parte di Torino un malumore d'antica cittaduzza fortificata, una tristezza di museo archeologico, un tal vecchiume di muri, di merci, di facce, d'esalazioni, di tinte, che vien fatto di guardarsi intorno coll'idea di veder ancora gl'Israeliti col nastro giallo al braccio o di tender l'orecchio per sentir se la campana dell'antica torre di Dora Grossa annunziasse per caso un'esecuzione capitale o la raccolta del Consiglio decurionale della città. E quest'illusione si fa più viva arrivando sulla piazza del Municipio. Davanti a quel palazzo giovine di due secoli, ma d'aspetto già antico, in quella piazzetta ombrosa affollata di gente della campagna, circondata di portici ingombri di banchi di merciaie, attraversata dalla folla che va al mercato di Porta Palazzo, in mezzo alle statue colossali di Carlo Alberto e di Vittorio Emanuele, fra il Duca di Genova che brandisce la spada e la figura atletica del Conte Verde che atterra i Saraceni, di fronte alla via stretta e austera per cui lo sguardo va diritto al palazzo silenzioso delle antiche Segreterie, si rimane presi così strettamente dalle memorie e dalle immagini d'un altro tempo che par di riviverci e di vedere e di capire fin nelle sue più intime cose l'antica capitale del Piemonte, quella piccola città rude, severa, soldatesca, cocciuta, che preparò ostinatamente, in silenzio, la grande lotta, e si cacciò per la prima, a capo basso, contro il colosso nemico, coll'impeto del toro da cui ha tolto lo stemma.
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Speranze e glorie
Le tre capitali: Torino-Firenze-Roma
di Edmondo De Amicis
F.lli Treves Editore Milano 1911
pagine 248 |
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