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      La contessa vestita in gala passa accanto ai banchi di legumi e di caci, la conversazione leccata dei dandy è interrotta dall'urlìo plebeo dei cavamacchie e dei venditori di fotografie; tutto il mondo elegante sfila in mezzo a quella lotta muta e continua del grande e del piccolo commercio, schierati l'uno di fronte all'altro, in atteggiamento ostile, come due catene di sentinelle avanzate dei due grossi eserciti nemici della borghesia e della plebe. Qui la folla è fitta e nera, divisa in due correnti, che si toccano, e spesso si confondono, e straripano fuori dei portici. In alcuni punti è un vero serra serra, come all'uscita da un teatro, tanto che nello spazio di tre braccia quadrate si ritrovano spesso un capitano d'artiglieria, una coppia matrimoniale, un prete, un accademista, una crestaia, un operaio, stretti in un mazzo, che paiono una famiglia sola. Qualche volta per pigliar spazio la folla è costretta a fermarsi, e tutti "segnano il passo" come una colonna di soldati. L'aspetto e il contegno generale è grave, come l'andatura, e come disse un professore arguto, sembra che tutti "meditino un regolamento". La gente gira tutt'intorno alla Galleria Subalpina, a passi lenti, processionalmente, come nella sala d'un museo, non facendo che un leggiero bisbiglio, che lascia sentire distintamente le note acute dei cantanti nella sala sotterranea del Caffè Romano. Sotto i portici non si sente che un mormorìo sordo ed eguale, fra cui risuonano forte, qua e là, le sciabole degli ufficiali e le risa argentine delle fioraie e delle sartine, che fanno una scappata a traverso al bel mondo, coll'involtino in mano, prima di tornare a casa, e i colpi secchi delle porte dei caffè aperte e richiuse bruscamente per timore del freddo.


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Speranze e glorie
Le tre capitali: Torino-Firenze-Roma
di Edmondo De Amicis
F.lli Treves Editore Milano
1911 pagine 248

   





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