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      Firenze! Si vedevano con la mente, a questo nome, delle legioni di scultori, di pittori e d'architetti, che ci gridavano: - Viva! - da lontano, agitando scalpelli, tavolozze e corone. Oh come si conoscevano tutti senz'averli mai veduti! E come si sentiva la solennità di quell'istante, la fusione di quei due popoli e di quelle due storie! Era il Piemonte, il vecchio soldato, abbronzato dal sole e coperto di cicatrici, che deponeva un bacio sulla fronte bianca e splendida della madre delle arti; della quale dieci anni prima, a Curtatone, aveva potuto stringere appena, e di sfuggita, la mano insanguinata. Erano due grida sublimi, uno partito da Santa Croce e l'altro da Superga, che si mescevano in un solo: - Ecco il giorno! - Oh non c'erano freddezze allora! Non c'erano rancori!
      - Freddezze? - riprese di lì a poco, quasi maravigliato d'essersi lasciato sfuggire quella parola; - rancori? Ma che! - continuò scrollando il capo e sorridendo, - ma chi lo crede? chi ne parla più? chi se ne ricorda ancora? Le famiglie piemontesi, forse, che si vedono, per le case e per le vie, mostrarsi l'una all'altra i loro bimbi di cinque anni, che parlano il più puro e argentino toscano che si sia inteso mai, ridendone come d'una cara sorpresa e parlandone con una compiacenza non scevra d'alterezza? O le loro donne di servizio, venute dalle falde delle Alpi, che quando c'è confusione in mercato dicono che "non ci si raccapezzano?" O i rivenditori di giornali, nati sulle rive del Po, che rifanno il verso ai nuovi venuti, perchè non gridano ancora coll'accento paesano?


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Speranze e glorie
Le tre capitali: Torino-Firenze-Roma
di Edmondo De Amicis
F.lli Treves Editore Milano
1911 pagine 248

   





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