Pagina (211/248)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

     
      Questo fatto spiegherebbe pure l'astensione d'una parte del popolo dalle dimostrazioni entusiastiche così nella città di Roma come nei villaggi della provincia.
      A Monterotondo, discorrendo con un cittadino dei più noti, e in voce di liberale, gli domandammo come fosse contento del nuovo stato di cose:
      - Per me sono contentissimo; - rispose, e lo diceva sinceramente: - tutto va bene, non si potrebbe desiderare di meglio. - E poi a bassa voce: - Hanno rispettato le chiese, hanno lasciato stare i preti; messe, vespri, funzioni, ogni cosa come prima.
      - Oh curiosa! Ma credeva che si venisse qui per far man bassa su tutto questo, lei?
      - Io?... nemmen per sogno.
      Certo che lo credeva, e con lui chi sa quanti, che all'entrare dei nostri soldati si saranno chiusi in casa e fatti dar del codino. Ma ora che si son disingannati e rassicurati, non credo che saranno meno sinceramente italiani degli altri.
      Non ricordo in che villaggio, una donna del popolo fermò il primo ufficiale che vide, e gli disse con voce affannosa e supplichevole: - È una buona persona il nostro curato, glie l'assicuro; è un galantuomo; non gli dispiace mica che vengano i soldati italiani; non gli facciano nessun male, lo raccomandi lei ai soldati, ci faccia questa carità....
      Quella donna credeva fermamente che il "mandato" dell'esercito italiano fosse di far la festa ai preti, come diceva don Abbondio. Ora lamentatevi, se vi pare, ch'essa non abbia messo fuori dalla finestra la bandiera tricolore.
      Passava un drappello di seminaristi, per una via di Nepi, poco dopo che v'erano passati i soldati.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Speranze e glorie
Le tre capitali: Torino-Firenze-Roma
di Edmondo De Amicis
F.lli Treves Editore Milano
1911 pagine 248

   





Roma Monterotondo Abbondio Nepi