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      Tutti i soldati, passando, dicevano qualche cosa all'uno o all'altro.
      - Si va a Roma, reverendo.
      - Dio v'accompagni!
      - Senti! È dei nostri!
      Il prete si mise una mano sul cuore.
      - Viva! viva! - si gridò dalle file. E il frate e il prete ringraziarono.
      Non intesi mai, nè altri può affermare d'aver mai inteso un soldato dire una parola sconveniente ad un prete. Scherzi, sì; ma urbanissimi, e condonabili sempre alla gaiezza soldatesca, Se l'"Unità Cattolica" osservasse che è inurbanità il dirigere la parola a chi non si conosce, le si potrebbe rispondere che nessuno obbligava i preti a mettersi alle finestre o a piantarsi sull'uscio della casa parrocchiale quando i reggimenti passavano. Se vi stavano, vuol dire che ci si divertivano. Non so se ci sarebbero stati quando fossero passati gli zuavi.
      Nei primi due giorni non si videro in Roma nè preti nè frati, o soltanto pochissimi. Ma non si può dire che stessero nascosti per timore: qual ragione avrebbero avuto di temere i nostri soldati a Roma più che nella provincia? Stavan chiusi, si capisce, per non aver a prendere parte, neanco come spettatori, alle dimostrazioni del popolo. Tuttavia, ripeto, alcuni se ne videro anche il primo giorno, e passavano in mezzo alle bandiere e alle grida, sicurissimamente, come in casa propria, senza esser nemmeno guardati. E sì che le vie di Roma, stando a quello che scrisse don Margotti, eran piene di "facinorosi", di "tigri assetate di sangue" e di "donne di mala vita", tutta gente, come diceva l'oste milanese della "Luna piena", latina di bocca e latina di mano.


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Speranze e glorie
Le tre capitali: Torino-Firenze-Roma
di Edmondo De Amicis
F.lli Treves Editore Milano
1911 pagine 248

   





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