Povera maestra, è ancora dimagrita. Ma è sempre viva, s'accalora sempre quando parla della sua scuola. Ha voluto rivedere il letto dove mi vide molto malato due anni fa, e che ora è di mio fratello, lo ha guardato un pezzo e non poteva parlare. Ha dovuto scappar presto per andar a visitare un ragazzo della sua classe, figliuolo d'un sellaio, malato di rosolia; e aveva per di più un pacco di pagine da correggere, tutta la serata da lavorare, e doveva ancor dare una lezione privata d'aritmetica a una bottegaia, prima di notte. - Ebbene, Enrico, - m'ha detto, andandosene, - vuoi ancora bene alla tua maestra ora che risolvi i problemi difficili e fai le composizioni lunghe? - M'ha baciato, m'ha ancora detto d'in fondo alla scala: - Non mi scordare, sai, Enrico! - O mia buona maestra, mai, mai non ti scorderò. Anche quando sarò grande, mi ricorderò ancora di te e andrò a trovarti fra i tuoi ragazzi; e ogni volta che passerò vicino a una scuola e sentirò la voce d'una maestra, mi parrà di sentir la tua voce, e ripenserò ai due anni che passai nella scuola tua, dove imparai tante cose, dove ti vidi tante volte malata e stanca, ma sempre premurosa, sempre indulgente disperata quando uno pigliava un mal vezzo delle dita a scrivere, tremante quando gli ispettori c'interrogavano, felice quando facevamo buona figura, buona sempre e amorosa come una madre. Mai, mai non mi scorderò di te, maestra mia.
In una soffitta
28, venerdì
Ieri sera con mia madre e con mia sorella Silvia andammo a portar la biancheria alla donna povera raccomandata dal giornale: io portai il pacco, Silvia aveva il giornale, con le iniziali del nome e l'indirizzo.
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Cuore
di Edmondo De Amicis
pagine 303 |
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Enrico Enrico Silvia Silvia
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