Ci mettemmo a giocare coi legnetti: egli ha un'abilità straordinaria a far torri e ponti, che par che stian su per miracolo, e ci lavora tutto serio, con la pazienza di un uomo. Fra una torre e l'altra, mi disse della sua famiglia: stanno in una soffitta, suo padre va alle scuole serali a imparar a leggere, sua madre è biellese. E gli debbono voler bene, si capisce, perché è vestito così da povero figliuolo, ma ben riparato dal freddo, coi panni ben rammendati, con la cravatta annodata bene dalla mano di sua madre. Suo padre, mi disse, è un pezzo d'uomo, un gigante, che stenta a passar per le porte; ma buono, e chiama sempre il figliuolo "muso di lepre"; il figliuolo, invece, è piccolino. Alle quattro si fece merenda insieme con pane e zebibbo, seduti sul sofà, e quando ci alzammo, non so perché, mio padre non volle che ripulissi la spalliera che il muratorino aveva macchiata di bianco con la sua giacchetta: mi trattenne la mano e ripulì poi lui, di nascosto. Giocando, il muratorino perdette un bottone della cacciatora, e mia madre glie l'attaccò, ed egli si fece rosso e stette a vederla cucire tutto meravigliato e confuso, trattenendo il respiro. Poi gli diedi a vedere degli album di caricature ed egli, senz'avvedersene, imitava le smorfie di quelle facce, così bene, che anche mio padre rideva. Era tanto contento quando andò via, che dimenticò di rimettersi in capo il berretto a cencio, e arrivato sul pianerottolo, per mostrarmi la sua gratitudine mi fece ancora una volta il muso di lepre.
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Cuore
di Edmondo De Amicis
pagine 303 |
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