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      Suo padre lo amava ed era assai buono e indulgente con lui: indulgente in tutto fuorché in quello che toccava la scuola: in questo pretendeva molto e si mostrava severo perché il figliuolo doveva mettersi in grado di ottener presto un impiego per aiutar la famiglia; e per valer presto qualche cosa gli bisognava faticar molto in poco tempo. E benché il ragazzo studiasse, il padre lo esortava sempre a studiare. Era già avanzato negli anni, il padre, e il troppo lavoro l'aveva anche invecchiato prima del tempo. Non di meno, per provvedere ai bisogni della famiglia, oltre al molto lavoro che gl'imponeva il suo impiego, pigliava ancora qua e là dei lavori straordinari di copista, e passava una buona parte della notte a tavolino. Da ultimo aveva preso da una Casa editrice, che pubblicava giornali e libri a dispense, l'incarico di scriver sulle fasce il nome e l'indirizzo degli abbonati e guadagnava tre lire per ogni cinquecento di quelle strisciole di carta, scritte in caratteri grandi e regolari. Ma questo lavoro lo stancava, ed egli se ne lagnava spesso con la famiglia, a desinare. - I miei occhi se ne vanno, - diceva, - questo lavoro di notte mi finisce. - Il figliuolo gli disse un giorno: - Babbo, fammi lavorare in vece tua; tu sai che scrivo come te, tale e quale. - Ma il padre gli rispose: - No figliuolo; tu devi studiare; la tua scuola è una cosa molto più importante delle mie fasce; avrei rimorsi di rubarti un'ora; ti ringrazio, ma non voglio, e non parlarmene più.
      Il figliuolo sapeva che con suo padre, in quelle cose, era inutile insistere, e non insistette.


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Cuore
di Edmondo De Amicis
pagine 303

   





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