- Sei qui, tu? - gli domandò il capitano, stupito ma brusco. - Bravo. Hai fatto il tuo dovere.
- Ho fatto il mio possibile, - rispose il tamburino.
- Sei stato ferito, - disse il capitano, cercando con gli occhi il suo ufficiale nei letti vicini.
- Che vuole! - disse il ragazzo, a cui dava coraggio a parlare la compiacenza altiera d'esser per la prima volta ferito, senza di che non avrebbe osato d'aprir bocca in faccia a quel capitano; - ho avuto un bel correre gobbo, m'han visto subito. Arrivavo venti minuti prima se non mi coglievano. Per fortuna che ho trovato subito un capitano di Stato Maggiore da consegnargli il biglietto. Ma è stato un brutto discendere dopo quella carezza! Morivo dalla sete, temevo di non arrivare più, piangevo dalla rabbia a pensare che ad ogni minuto di ritardo se n'andava uno all'altro mondo, lassù. Basta, ho fatto quello che ho potuto. Son contento. Ma guardi lei, con licenza, signor capitano, che perde sangue.
Infatti dalla palma mal fasciata del capitano colava giù per le dita qualche goccia di sangue.
- Vuol che le dia una stretta io alla fascia, signor capitano? Porga un momento.
Il capitano porse la mano sinistra, e allungò la destra per aiutare il ragazzo a sciogliere il nodo e a rifarlo; ma il ragazzo, sollevatosi appena dal cuscino, impallidì, e dovette riappoggiare la testa.
- Basta, basta, - disse il capitano, guardandolo, e ritirando la mano fasciata, che quegli volea ritenere: - bada ai fatti tuoi, invece di pensare agli altri, ché anche le cose leggiere, a trascurarle, possono farsi gravi.
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Cuore
di Edmondo De Amicis
pagine 303 |
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Stato Maggiore
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