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      L'infermiere non si rammentava quel nome.
      - Un vecchio operaio venuto di fuori? - domandò.
      - Operaio sì, - rispose il ragazzo, sempre più ansioso; non tanto vecchio. Venuto di fuori, sì.
      - Entrato all'ospedale quando? - domandò l'infermiere.
      Il ragazzo diede uno sguardo alla lettera. - Cinque giorni fa, credo.
      L'infermiere stette un po' pensando; poi, come ricordandosi a un tratto: - Ah! - disse, - il quarto camerone, il letto in fondo.
      - È malato molto? Come sta? - domandò affannosamente il ragazzo.
      L'infermiere lo guardò, senza rispondere. Poi disse: - Vieni con me.
      Salirono due branche di scale, andarono in fondo a un largo corridoio e si trovarono in faccia alla porta aperta d'un camerone, dove s'allungavano due file di letti. - Vieni, - ripeté l'infermiere, entrando. Il ragazzo si fece animo e lo seguitò, gettando sguardi paurosi a destra e a sinistra, sui visi bianchi e smunti dei malati, alcuni dei quali avevan gli occhi chiusi, e parevano morti, altri guardavan per aria con gli occhi grandi e fissi, come spaventati. Parecchi gemevano, come bambini. Il camerone era oscuro, l'aria impregnata d'un odore acuto di medicinali. Due suore di carità andavano attorno con delle boccette in mano.
      Arrivato in fondo al camerone, l'infermiere si fermò al capezzale d'un letto, aperse le tendine e disse: - Ecco tuo padre.
      Il ragazzo diede in uno scoppio di pianto, e lasciato cadere l'involto, abbandonò la testa sulla spalla del malato, afferrandogli con una mano il braccio che teneva disteso immobile sopra la coperta.


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Cuore
di Edmondo De Amicis
pagine 303