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      Il malato non si scosse.
      Il ragazzo si rialzò e guardò il padre, e ruppe in pianto un'altra volta. Allora il malato gli rivolse uno sguardo lungo e parve che lo riconoscesse. Ma le sue labbra non si muovevano. Povero Tata, quanto era mutato! Il figliuolo non l'avrebbe mai riconosciuto. Gli s'erano imbiancati i capelli, gli era cresciuta la barba, aveva il viso gonfio, d'un color rosso carico, con la pelle tesa e luccicante, gli occhi rimpiccioliti, le labbra ingrossate, la fisionomia tutta alterata: non aveva più di suo che la fronte e l'arco delle sopracciglia. Respirava con affanno. - Tata, tata mio! - disse il ragazzo. - Son io, non mi riconoscete? Sono Cicillo, il vostro Cicillo, venuto dal paese, che m'ha mandato la mamma. Guardatemi bene, non mi riconoscete? Ditemi una parola.
      Ma il malato, dopo averlo guardato attentamente, chiuse gli occhi.
      - Tata! Tata! che avete? Sono il vostro figliuolo, Cicillo vostro.
      Il malato non si mosse più, e continuò a respirare affannosamente.
      Allora, piangendo, il ragazzo prese una seggiola, sedette e stette aspettando, senza levar gli occhi dal viso di suo padre. - Un medico passerà bene a far la visita, - pensava. - Egli mi dirà qualche cosa. - E s'immerse ne' suoi pensieri tristi, ricordando tante cose del suo buon padre, il giorno della partenza, quando gli aveva dato l'ultimo addio sul bastimento, le speranze che aveva fondato la famiglia su quel suo viaggio, la desolazione di sua madre all'arrivo della lettera; e pensò alla morte, vide suo padre morto, sua madre vestita di nero, la famiglia nella miseria.


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Cuore
di Edmondo De Amicis
pagine 303

   





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