Ma non si muoveva.
- Vieni dunque - gli disse il padre. - Arriveremo ancora a casa stasera. Andiamo. - E lo tirò a sé.
Il ragazzo si voltò a guardare il suo malato.
- Ma... vieni o non vieni? - gli domandò il padre, stupito.
Il ragazzo diede ancora uno sguardo al malato, il quale, in quel momento, aperse gli occhi e lo guardò fissamente.
Allora gli sgorgò dall'anima un torrente di parole. - No, Tata, aspetta... ecco... non posso. C'è quel vecchio. Da cinque giorni son qui. Mi guarda sempre. Credevo che fossi tu. Gli volevo bene. Mi guarda, io gli do da bere, mi vuol sempre accanto, ora sta molto male, abbi pazienza, non ho coraggio, non so, mi fa troppo pena, tornerò a casa domani, lasciami star qui un altro po', non va mica bene che lo lasci, vedi in che maniera mi guarda, io non so chi sia, ma mi vuole, morirebbe solo, lasciami star qui, caro Tata!
- Bravo, piccerello! - gridò l'assistente.
Il padre rimase perplesso, guardando il ragazzo; poi guardò il malato. - Chi è? - domandò.
- Un contadino come voi - rispose l'assistente, - venuto di fuori, entrato all'ospedale lo stesso giorno che c'entraste voi. Lo portaron qui ch'era fuor di senso, e non poté dir nulla. Forse ha una famiglia lontana, dei figliuoli. Crederà che sia un dei suoi, il vostro.
Il malato guardava sempre il ragazzo.
Il padre disse a Cicillo: - Resta.
- Non ha più da restar che per poco, - mormorò l'assistente.
- Resta -, ripeté il padre. - Tu hai cuore. Io vado subito a casa a levar di pena la mamma. Ecco uno scudo pei tuoi bisogni.
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Cuore
di Edmondo De Amicis
pagine 303 |
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Tata Tata Cicillo
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