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      Così dice mia madre. Mia madre m'aspettò sotto il portone, io salii solo, e incontrai per le scale il maestro della barbaccia nera, - Coatti, - quello che spaventa tutti e non punisce nessuno, egli mi guardò con gli occhi larghi e fece la voce del leone, per celia, ma senza ridere. Io ridevo ancora tirando il campanello, al quarto piano; ma rimasi male subito, quando la serva mi fece entrare in una povera camera, mezz'oscura, dove era coricato il mio maestro. Era in un piccolo letto di ferro, aveva la barba lunga. Si mise una mano alla fronte, per vederci meglio, ed esclamò con la sua voce affettuosa: - Oh Enrico! - Io m'avvicinai al letto, egli mi pose una mano sulla spalla, e disse: - Bravo, figliuolo. Hai fatto bene a venir a trovare il tuo povero maestro. Son ridotto a mal partito, come vedi, caro il mio Enrico. E come va la scuola? come vanno i compagni? Tutto bene, eh? anche senza di me. Ne fate di meno benissimo, è vero? del vostro vecchio maestro. - Io volevo dir di no; egli m'interruppe: - Via, via, lo so che non mi volete male. - E mise un sospiro. Io guardavo certe fotografie attaccate alla parete. - Vedi? - egli mi disse. - Son tutti ragazzi che m'han dato i loro ritratti, da più di vent'anni in qua. Dei buoni ragazzi, son le mie memorie quelle. Quando morirò, l'ultima occhiata la darò lì, a tutti quei monelli, fra cui ho passata la vita. Mi darai il ritratto tu pure, non è vero, quando avrai finito le elementari? Poi prese un'arancia sul tavolino da notte e me la mise in mano.


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Cuore
di Edmondo De Amicis
pagine 303

   





Enrico Enrico