Le mettevan sotto gli occhi, come grandi meraviglie, degl'insetti piccolissimi, che non so come facessero a vederli e a raccoglierli, dei mezzi tappi di sughero, dei bottoncini di camicia, dei fiorellini strappati dai vasi. Un bambino con la testa fasciata, che voleva esser sentito a ogni costo, le tartagliò non so che storia d'un capitombolo, che non se ne capì una parola; - un altro volle che mia madre si chinasse, e le disse nell'orecchio: - Mio padre fa le spazzole. - E in quel frattempo accadevano qua e là mille disgrazie, che facevano accorrere le maestre: bambine che piangevano perché non potevano disfare un nodo del fazzoletto, altre che si disputavano a unghiate e a strilli due semi di mela, un bimbo che era caduto bocconi sopra un panchettino rovesciato, e singhiozzava su quella rovina, senza potersi rialzare.
Prima d'andar via, mia madre ne prese in braccio tre o quattro, e allora accorsero da tutte le parti per farsi pigliare, coi visi tinti di torlo d'ovo e di sugo d'arancia, e chi a afferrarle le mani, chi a prenderle un dito per veder l'anello, l'uno a tirarle la catenella dell'orologio, l'altro a volerla acchiappare per le trecce. - Badi, - dicevano le maestre, - che le sciupan tutto il vestito. - Ma a mia madre non importava nulla del vestito, e continuò a baciarli, e quelli sempre più a serrarlesi addosso, i primi con le braccia tese come se volessero arrampicarsi, i lontani cercando di farsi innanzi tra la calca, e tutti gridando: - Addio! Addio! Addio! - infine le riuscì di scappar dal giardino.
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Cuore
di Edmondo De Amicis
pagine 303 |
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