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      Poi disse: - Mi fa troppo onore... non so... Quando, mio scolaro? mi scusi. Il suo nome, per piacere.
      Mio padre disse il suo nome, Alberto Bottini, e l'anno che era stato a scuola da lui, e dove; e soggiunse: - Lei non si ricorderà di me, è naturale. Ma io riconosco lei così bene!
      Il maestro chinò il capo e guardò in terra, pensando, e mormorò due o tre volte il nome di mio padre; il quale, intanto, lo guardava con gli occhi fissi e sorridenti.
      A un tratto il vecchio alzò il viso, con gli occhi spalancati, e disse lentamente: - Alberto Bottini? il figliuolo dell'ingegnere Bottini? quello che stava in piazza della Consolata?
      - Quello, - rispose mio padre, tendendo le mani.
      - Allora... - disse il vecchio, - mi permetta, caro signore, mi permetta, - e fattosi innanzi, abbracciò mio padre: la sua testa bianca gli arrivava appena alla spalla. Mio padre appoggiò la guancia sulla sua fronte.
      - Abbiate la bontà di venir con me, - disse il maestro.
      E senza parlare, si voltò e riprese il cammino verso casa sua. In pochi minuti arrivammo a un'aia, davanti a una piccola casa con due usci, intorno a uno dei quali c'era un po' di muro imbiancato.
      Il maestro aperse il secondo, e ci fece entrare in una stanza. Eran quattro pareti bianche: in un canto un letto a cavalletti con una coperta a quadretti bianchi e turchini, in un altro un tavolino con una piccola libreria; quattro seggiole e una vecchia carta geografica inchiodata a una parete: si sentiva un buon odore di mele.
      Sedemmo tutti e tre. Mio padre e il maestro si guardarono per qualche momento, in silenzio.


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Cuore
di Edmondo De Amicis
pagine 303

   





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