La gente si soffermava a guardare, perché tutti lo conoscevano, alcuni lo salutavano. A un certo punto della strada sentimmo da una finestra molte voci di ragazzi, che leggevano insieme, compitando. Il vecchio si fermò e parve che si rattristasse.
- Ecco, caro signor Bottini, - disse, - quello che mi fa pena. È sentir la voce dei ragazzi nella scuola, e non esserci più, pensare che c'è un altro. L'ho sentita per sessant'anni questa musica, e ci avevo fatto il cuore... Ora son senza famiglia. Non ho più figliuoli.
- No, maestro, - gli disse mio padre, ripigliando il cammino, - lei ce n'ha ancora molti figliuoli, sparsi per il mondo, che si ricordano di lei, come io me ne son sempre ricordato.
- No, no, - rispose il maestro, con tristezza, - non ho più scuola, non ho più figliuoli. E senza figliuoli non vivrò più un pezzo. Ha da sonar presto la mia ora.
- Non lo dica, maestro, non lo pensi, - disse mio padre. - In ogni modo, lei ha fatto tanto bene! Ha impiegato la vita così nobilmente!
Il vecchio maestro inclinò un momento la testa bianca sopra la spalla di mio padre, e mi diede una stretta alla mano.
Eravamo entrati nella stazione. Il treno stava per partire.
- Addio, maestro! - disse mio padre, baciandolo sulle due guancie.
- Addio, grazie, addio, - rispose il maestro, prendendo con le sue mani tremanti una mano di mio padre, e stringendosela sul cuore.
Poi lo baciai io, e gli sentii il viso bagnato. Mio padre mi spinse nel vagone, e al momento di salire levò rapidamente il rozzo bastone di mano al maestro, e gli mise invece la sua bella canna col pomo d'argento e le sue iniziali, dicendogli: - La conservi per mia memoria.
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Cuore
di Edmondo De Amicis
pagine 303 |
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Bottini
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