A quelle parole scoppiava in un pianto. - Oh, i miei figliuoli! i miei figliuoli! - esclamava, giungendo le mani; - forse non ci sono più! È meglio che muoia anch'io. Li ringrazio, buoni signori, li ringrazio di cuore. Ma è meglio che muoia. Tanto non guarirei neanche con l'operazione, ne sono sicura. Grazie di tante cure, buoni signori. È inutile che dopo domani torni il medico. Voglio morire. È destino ch'io muoia qui. Ho deciso. - E quelli ancora a consolarla, a ripeterle: - No, non dite questo; - e a pigliarla per le mani e a pregarla. Ma essa allora chiudeva gli occhi, sfinita, e cadeva in un assopimento, che pareva morta. E i padroni restavano lì un po' di tempo, alla luce fioca d'un lumicino, a guardare con grande pietà quella madre ammirabile, che per salvare la sua famiglia era venuta a morire a sei mila miglia dalla sua patria, a morire dopo aver tanto penato, povera donna, così onesta, così buona, così sventurata.
Il giorno dopo, di buon mattino, con la sua sacca sulle spalle, curvo e zoppicante, ma pieno d'animo, Marco entrava nella città di Tucuman, una delle più giovani e delle più floride città della Repubblica Argentina. Gli parve di rivedere Cordova, Rosario, Buenos Aires: erano quelle stesse vie diritte e lunghissime, e quelle case basse e bianche; ma da ogni parte una vegetazione nuova e magnifica, un'aria profumata, una luce meravigliosa, un cielo limpido e profondo, come egli non l'aveva mai visto, neppure in Italia. Andando innanzi per le vie, riprovò l'agitazione febbrile che lo aveva preso a Buenos Aires; guardava le finestre e le porte di tutte le case; guardava tutte le donne che passavano, con una speranza affannosa di incontrar sua madre; avrebbe voluto interrogar tutti, e non osava fermar nessuno.
| |
Cuore
di Edmondo De Amicis
pagine 303 |
|
|
Marco Tucuman Repubblica Argentina Cordova Rosario Buenos Aires Italia Buenos Aires
|