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      Udiamo una scampanellata, corriamo tutti. Sento mio padre che dice in tuono di meraviglia: - Voi qui, Giorgio? - Era Giorgio, il nostro giardiniere di Chieri, che ora ha la famiglia a Condove, arrivato allora allora da Genova, dov'era sbarcato il giorno avanti, di ritorno dalla Grecia, dopo tre anni che lavorava alle strade ferrate. Aveva un grosso fagotto fra le braccia. È un po' invecchiato, ma sempre rosso in viso e gioviale.
      Mio padre voleva che entrasse; ma egli disse di no, e domandò subito, facendo il viso serio: - Come va la mia famiglia? Come sta Gigia?
      - Bene fino a pochi giorni fa, - rispose mia madre.
      Giorgio tirò un gran sospiro: - Oh! Sia lodato Iddio! Non avevo il coraggio di presentarmi ai Sordomuti senz'aver notizie da lei. Io lascio qui il fagotto e scappo a pigliarla. Tre anni che non la vedo la mia povera figliuola! Tre anni che non vedo nessuno dei miei!
      Mio padre mi disse: - Accompagnalo.
      - Ancora una parola, mi scusi, - disse il giardiniere sul pianerottolo.
      Ma mio padre l'interruppe: - E gli affari?
      - Bene, - rispose, - grazie a Dio. Qualche soldo l'ho portato. Ma volevo domandare. Come va l'istruzione della mutina, dica un po'. Io l'ho lasciata che era come un povero animaletto, povera creatura. Io ci credo poco, già, a questi collegi. Ha imparato a fare i segni? Mia moglie mi scriveva bene: - Impara a parlare, fa progressi. - Ma, dicevo io, che cosa vale che impari a parlare lei se io i segni non li so fare? Come faremo a intenderci, povera piccina? Quello è buono per capirsi fra loro, un disgraziato con l'altro.


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Cuore
di Edmondo De Amicis
pagine 303

   





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