Certo è che in quell'anno d'intorno al gentiluomo spagnuolo incominciò ad aggrupparsi un eletto nucleo, che poi diventò veramente una chiesa; nella quale in poco volger di tempo entrò il fiore di quella cittadinanza, sì per nascita, che per dignità e per intelletto. Fin sulle prime vi ritroviamo Gian Francesco d'Alois di Caserta, che vi trasse Galeazzo Caracciolo, marchese di Vico, nipote al Caraffa che fu poi Paolo IV, e altri gentiluomini. Intorno al Valdes convenivano pure i più dotti ed illustri uomini che inclini alle nuove idee capitavano a Napoli. Vi s'incontra nel 1538 l'imolese Marcantonio Flaminio, il principe a quel tempo delle latine eleganze, che per cagion di salute vi dimorava fino al marzo del 1541. Vi s'incontra Jacopo Bonfadio, la di cui tragica e calunniosa morte a Genova non è ancora chiarita; e per chiudere l'enumerazione, monsignor Pietro Carnesecchi, parente de' Medici, prediletto a Clemente VII, quegli che con l'operosità della vita e con l'estese sue relazioni impresse quasi unità al moto riformatore italiano.
Perchè al fascino e all'efficacia del nobile drappello nulla mancasse ne formavano parte le gentildonne, fiore d'Italia per la bellezza dell'animo e delle forme, sospiro ed ammirazione di quel secolo. Basti nominare la marchesana di Pescara, Vittoria Colonna, che dalle delizie della sua vedovile solitudine in Ischia recavasi di sovente a Napoli, s'innamorava delle nuove dottrine, ella, la regina del cuore di Michelangelo; Isabella Manricha di Bresegna, sì altamente riverita dal Caro, la quale per la sua fede sofferse l'esiglio; e infine la vedova di Vespasiano Colonna, duchessa di Trajetto, Giulia Gonzaga, la più bella donna d'Italia a cui Valdes dedicava i suoi commentarii sulle lettere paoline e sui salmi.
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