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      Quindi recossi egli stesso a Cosenza per isfoggiar zelo e conciliarsi il favore del papa. Come suoi condottieri lo seguitavano il marchese di Buccianico governatore della provincia ed Ascanio Caracciolo, cognati, l'un dell'altro ben degni. Al suo arrivo, seguitando il consiglio degl'Inquisitori, bandiva che san Sisto sarebbe messo a fuoco ed a sangue, sperando forse atterrire i ricalcitranti e tosto finirla. Ma non raggiunse lo scopo. Gli erranti di san Sisto rimasero nelle lor selve, nelle lor grotte; altri gettaronsi in Guardia; niuno chiese perdono.
      Il borgo di san Sisto, o mancasse di mura, o perchè fosse mezzo deserto, non dava al vicerè gran pensiero. Ma quel territorio era tutto coperto da bande fuggiasche, che sebbene di semplici contadini, senza capi, senza disciplina, sostenute da coscienza imperterrita e dal coraggio della disperazione, apparivano più forti di quello che veramente lo fossero. Inoltre Guardia era intatta, ricca di popolazione, accresciuta da que' di san Sisto non vaganti, e cinta di alte muraglie, delle quali si veggono ancora i vestigi; vi si entrava per due porte; la guardavano inoltre due corsi d'acque; ed essendo posta sopra un'altezza. Guardia pareva quasi inespugnabile. Quelli dentro, nella coscienza del loro buon dritto, erano risoluti a resistere. E il vicerè si avvide di non avere abbastanza gente.
      Egli intimò allora crociata contro i Calabro-Valdesi; e in un secondo proclama offerì a tutti i banditi per omicidio o per furti un generale perdono, quando accorressero a militare sotto le sue bandiere contro gli eretici.


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L'inquisizione e i calabro-valdesi
di Filippo De Boni
Daelli Milano
1864 pagine 117

   





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