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      Certamente non v'è naturalista che pretenda tanto, non v'è alcuno che voglia far della zoologia la scienza universale. Degli animali tutto sottomette il naturalista alle sue proprie investigazioni, dell'uomo non vuole che il solo cadavere. D'onde ciò, se non in qualche cosa per cui, anche senza volerlo, egli si sente astretto a fare all'uomo un posto distinto nella creazione.
      In uno strato di sabbia, in uno strato d'argilla, insieme ad ossa di elefanti e di rinoceronti, nel centro della dotta Europa, il naturalista rinviene qualche frammento di carbone, qualche ciottolo scheggioso, qualche osso scalfito, e non esita un istante ad esclamare; ecco tracce dell'uomo primitivo; e non gli è mai passata per la mente l'idea di attribuire queste semplicissime fatture ad una scimia. Perché la scimia sia capace di accendere un ramo secco, di percuotere un sasso contro un altro, bisogna che diventi uomo.
      Ecco tacitamente e, per consenso unanime, riconosciuto un distintivo che val bene qualche cosa di più di quel povero piccolo piede d'ippocampo che ci è mancato nel bollore delle speranze; un distintivo fisicamente indeterminabile, ma più forte d'una sequela di sofismi.
      Trapela da tutto questo un sentimento interno che guida logicamente ad una concessione più esplicita e formale: ma avete veduto cosa fa il naturalista. Lesinando, come l'avaro che misura il panno ai suoi famigliari, è già molto se si lascia strappare la concessione di un ordine distinto per l'uomo, sempre nella classe dei mammali.


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L'uomo e le scimie
di Filippo De Filippi
1864 pagine 53

   





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