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      Come il professore Bianconi poteva imparzialmente giudicarla, esordendo in nome dell'umanità che si risente, del buon senso che rifugge, della conculcata sublimità dell'intelligenza? La prima impressione lo ha tradito, e così non si è accorto che tutta la sua diligentissima elucubrazione, quale invero si è in diritto di attendere da un naturalista pari suo, può passare tutta intiera nel campo contrario senza produrvi la benché menoma commozione. Tutto quanto dice il prof. Bianconi della differenza fra l'uomo e la scimia, è perfettamente vero; dirò di più, è noto, ammesso, riconosciuto da tutti indistintamente: col compasso e colla bilancia, non c'è a ridire. Non si tratta adunque di discutere di forza ed acutezza di denti canini, di capacità del cranio, di mobilità di dita, di estensione del legamento plantare. La vera, la sola questione è sull'origine della differenza di questi caratteri e sul loro valore; ed una così fondamentale quistione è dall'egregio professore di Bologna saltata a piè pari. Questo bisognava discutere per drizzar i colpi al vero regno, onorando in pari tempo l'avversario. Per difendere la teoria dell'immutabilità della specie non potevano mancare al professore Bianconi argomenti assai più gravi di quelli triti e rancidi della mummia che non prova nulla, e del fossile che prova il contrario. A mostrare infatti quanto sarebbe stato urgente per lui l'occuparsi della quistione generale prima che della particolare, prenderò le sue stesse conclusioni, alle quali controporrò altrettante, od equivalenti, od identiche, meno l'ultima, che infin de' conti è la conclusione vera e che per me sarà in senso opposto.


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L'uomo e le scimie
di Filippo De Filippi
1864 pagine 53

   





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