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      Salve, o Cigno divin, che acuti spiediFai de' tuoi carmi e trapassando pungi
      La vil ciurmaglia che ti striscia ai piedi.
      Tu il gran cantor di Beatrice aggiungiE l'avanzi talor; d'invidia piene
      Ti rimirali le felle alme da lungi,
      Che non bagnâr le labbia in Ippocrene,
      Ma le tuffâr ne le Stinfalie fogne,
      Onde tal puzzo da' lor carmi viene.
      Oh limacciosi vermi! Oh rie vergogneDe l'arte sacra! Augei palustri e bassi;
      Cigni non già, ma corvi da carogne.
      Ma tu l'invida turba addietro lassiE, le robuste penne ergendo, come
      Aquila altera, li compiangi e passi.
      Invano atro velen sovra il tuo nomeSparge l'invidia, al proprio danno industre,
      Da le inquiete sibilanti chiome;
      Ed io puranco, ed io, vate trilustre,
      Io ti seguo da lunge, e il tuo gran lumeA me fo scorta ne l'arringo illustre.
      E te veggendo su l'erto cacumeAscender di Parnaso, alma spedita,
      Già sento al volo mio crescer le piume.
      Forse, ah che spero? io la seconda vitaVivrò, se alle mie forze inferme e frali
      Le nove suore porgeranno aita.
     
      Notiamo presso quell'ambizioso io, vate trilustre, quel prudente, ma non meno ambizioso forse tutto manzoniano, messo innanzi al vivrò immortale che ci prenunzia già l'Autore del Cinque Maggio predestinato a sciogliere all'urna del primo Napoleone un cantico
     
      Che forse non morrà.
     
      Quando il Manzoni scrive, nell'anno 1803, al Monti, lo fa già in un tuono di una certa famigliare baldanza che rivela la poca soggezione, e gli dà del voi. Il Monti invitato a dir la sua opinione sopra l'Idillio del Manzoni, gli risponde lodandolo sinceramente, facendo i migliori augurii al giovinetto e dicendogli finalmente: "Io non sono da tanto da poterti fare il dottore.


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Alessandro Manzoni
Studio biografico
di Angelo De Gubernatis
Le Monnier Firenze
1879 pagine 296

   





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