Rada il basso terren del vostro mondo,
Non spiri aura di Pindo in sua parola;
Tutto ei deggia da l'intimoSuo petto trarre e dal pensier profondo;
quello stesso poeta, per rappresentare gli antichi beneficii che le nove Muse recarono un giorno ai mortali, immagina che, discesa dal cielo, la stessa dea Urania gli abbia un giorno cantati al poeta Pindaro. Non sono da sperare stupendi effetti poetici da una tale intonazione mitologica, e però tutto l'Inno, nel tutt'insieme, riesce manierato e freddo. Pure qua e là la natura potente vince l'arte delle scuole, e ne vien fuori qualche verso di calore, di colore e di sapore tutto manzoniano, ove l'effetto è proprio cavato, come in molte delle immagini dantesche, dalla potenza di meditar sopra lo impressioni: questi, per esempio:
Fra il romor del plauso,
Chinò la bella gota, ove salìaDel gaudio mista e del pudor la fiamma.
Sono versi pittoreschi; ma il Manzoni ricordava senza dubbio, nel comporli una impressione propria, essendo ben noto agli amici del Poeta, com'egli soleva, innanzi a lodi che gli facevano piacere, arrossire come fanciullo.
In questi altri versi, il primo è da notare per l'equivoco della parola amanti, la quale si può riferire alla Gloria, come a tutte le donne amate in genere; ed è vero pur troppo, che di mille innamorati, i quali sognano la gloria, uno solo riesce, con pena, a conseguirla; parecchi de' versi che seguono, sentono come un soave afflato virgiliano:
V'è la Gloria, sospir di mille amanti:
Vede la schiva i mille, e ad un sorride.
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Alessandro Manzoni
Studio biografico
di Angelo De Gubernatis
Le Monnier Firenze 1879
pagine 296 |
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