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      L'Inno sacro del Manzoni è assai dotto, grave, solenne, elevato, quasi epico; è evidente che, dopa essersi immerso nella lettura della Sacra Scrittura per derivarne immagini, e tradurle in un linguaggio più moderno, il Manzoni fece quanto poteva per inalzarle. Ma in questo sforzo egli tolse un po' di naturalezza e di evidenza al sentimento; volle fare un commento poetico, anzi un compendio della leggenda biblica, e in questo lavoro tutto sintetico arrivò talvolta ad interpretarla in modo grandioso, ma non mai, o quasi che non mai, in modo popolare. L'Inno sacro manzoniano è buono per l'artista che vuol credere, ma non pel popolo che crede. Cristo col suo mondo storico appare, negl'Inni Sacri, come qualche cosa d'antico, di lontano da noi, che la sola immaginazione storica può ritrovare, non già presente, non già vivo, che nasce, che soffre, che risorge. Le immagini degl'Inni Sacri, quasi tutte bibliche, non sono più vive per la nostra moderna poesia, e non corrispondono quasi mai all'altezza de' pensieri e de' fatti che dovrebbero esprimere e far più evidenti. Tutti hanno a memoria le due prime strofe del Natale cioè l'immagine d'una valanga che ci ricorda il Manzoni alpinista, tornato di fresco da un viaggio nella Svizzera e dall'ammirazione della Parteneide del Bággesen; la valanga è stupendamente descritta:
     
      Qual masso, che dal vertice;
      Di lunga erta montana,
      Abbandonato all'impeto;
      Di romorosa frana,
      Per lo scheggiato calle,
      Precipitando a valle,
      Batte sul fondo e sta;
      Là dove cadde, immobile


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Alessandro Manzoni
Studio biografico
di Angelo De Gubernatis
Le Monnier Firenze
1879 pagine 296

   





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