Vi è finalmente tutta la pietà cristiana del Manzoni, molto più che il carattere storico del Carmagnola, in queste parole del Conte:
Allor che Dio sui buoniFa cader la sventura, ei dona ancora
Il cor di sostenerla.... Oh! pari il vostroAlla sventura or sia. Godiam di questo
Abbracciamento; è un don del cielo anch'esso.
.... Il torto è grande,
Ma perdona; e vedrai che in mezzo ai maliUn'alta gioia anco riman.
.... Oh gli uomini non hannoInventata la morte; ella sarìa
Rabbiosa, insopportabile, dal cieloEssa ci viene, e l'accompagna il cielo
Con tal conforto, che nè dar nè tòrreGli uomini ponno.
Così sono uscite dal cuore di un marito credente, del Manzoni, in somma, queste belle e solenni ultime parole, con le quali il Conte raccomanda la moglie e la figlia al Gonzaga:
Quando rivedran la luce,
Di' lor... che nulla da temer più resta.
Poco, lo ripeto, sappiamo, pur troppo, della vita del Manzoni in quegli anni che corsero dal suo matrimonio alla pubblicazione del Conte di Carmagnola e dell'Adelchi; ma forse non andremmo troppo lontani dal vero, supponendo che alcun grande dolore abbia agitato l'animo del Manzoni nel tempo, in cui, venduto il Caleotto, egli scrisse le sue tragedie(51) ed incominciò il proprio romanzo. Vi sono versi che non si possono scrivere altrimenti che sotto una impressione molto viva e dolorosa; ed i versi che ho citati, mi fanno dubitare che il Manzoni abbia desiderato in quegli anni prender parte a qualche congiura politica, che, per una recrudescenza d'amor patrio, abbia corso qualche gran rischio e temuto assai per la propria famiglia e siasi poi sentito accusare di qualche debolezza: la malattia nervosa che lo visitò, appena terminata la sua tragedia, le varie ciarle alle quali diede occasione il suo ritorno a Parigi, hanno forse qualche relazione con alcun fatto che ignoriamo, ma del quale potrebbe darsi che si trovassero indizii ne' suoi scritti di quel tempo.
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Alessandro Manzoni
Studio biografico
di Angelo De Gubernatis
Le Monnier Firenze 1879
pagine 296 |
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