Di ogni ritorno al passato, di ogni passo che si dèsse per andare indietro, si doleva. Venerava i dommi cattolici, ma non trovava certamente che fossero pochi; e però quando intese che se ne voleva aggiungere uno nuovissimo, quello dell'infallibilità papale, il vecchio Manzoni si trovò intieramente d'accordo col giovinetto protestante del Trionfo della Libertà, si schierò dunque animosamente tra gli antinfallibilisti più risoluti e più rigorosi; "ma quando (scrive il Rizzi) egli, cattolico, seppe che in Vaticano era passata, come si direbbe noi laici, la nuova legge, non fece che esclamare: pazienza!, e non ne parlò più. E forse in questa sua sottomissione della ragione alla fede c'entrava per molto l'esempio del suo dottore e maestro l'abate Rosmini, il quale pure avea dichiarato di sottomettersi alla censura inflitta al suo libro delle Cinque Piaghe." Ma, in somma, egli si rallegrò che Roma fosse tolta al governo del Papa, ed accettò con piacere l'onore di venire ascritto nell'albo de' cittadini di Roma capitale, dove il Papa infallibile si era rintanato a fare il broncio a quell'Italia, che, come ben disse lo stesso Manzoni, egli benedisse prima del Quarantotto, per mandarla, dopo il Quarantotto, a farsi benedire. Egli conosceva il pregio di certi onori, i quali ricevono importanza dall'occasione e dalla qualità speciale di chi li riceve e di chi li concede; perciò egli che, a malgrado dell'intercessione del conte Andrea Cittadella e di Alessandro Humboldt, non avea temuto offendere l'Imperatore d'Austria ed il Re di Prussia, ricusando le loro decorazioni, gradiva poi una stretta di mano del re Vittorio Emanuele, una rosa del generale Garibaldi, ed un ben tornito complimento del più dotto fra i coronati viventi, Don Pedro d'Alcantara.
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Alessandro Manzoni
Studio biografico
di Angelo De Gubernatis
Le Monnier Firenze 1879
pagine 296 |
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