I Fiorentini doveano parere al Manzoni gli Ateniesi d'Italia, la lingua fiorentina la nostra lingua attica. Ma, perch'egli potesse avere pienamente ragione, era prima necessario ascoltarlo; ora l'Italia non convenne a Firenze, per avvivarne l'antica floridezza, per mettervi dentro tutto il suo sapere, tutta la sua civiltà e per farne veramente la prima città d'Italia, com'era un tempo Atene per la Grecia; l'Italia vi si attendò per cinque anni, non vi pose stabile radice e, migrando nel 1870 ad altra riva, la lasciò più povera e più negletta di prima. La teoria manzoniana quindi ci pare ora più che mai eccessiva, poichè in Firenze non s'accentra più, com'era sperato dal Manzoni e dall'Azeglio, il fiore della civiltà, il nerbo della vita italiana; ed una lingua per ottenere il consenso universale d'una nazione ha bisogno di derivar la sua forza da una vita locale più gagliarda delle altre. Questa vita privilegiata potrebbe esistere, ma non può dirsi, pur troppo, che esista ora in Firenze; quindi la necessità di ammettere la ragionevolezza di que' temperamenti che il Fauriel proponeva già al Manzoni fino dal loro primi colloquii intorno alla lingua italiana. "Il Fauriel (scriveva il Sainte-Beuve), udendo le ingegnose ragioni del Manzoni, non ardiva contradirle in tutto, ma nondimeno aveva qualche cosa da ridire. L'Italia ebbe pure in tutti i tempi i suoi grandi scrittori; perchè dunque non potrà averne anche oggi? È poi un male così grande ed irrimediabile, alla fin fine, d'esser costretto a scegliere, ed anche, in un certo senso, a comporsi la lingua, a tenerla sollevata dalle trivialità, a cercare d'indirizzarla verso un tipo superiore, che s'appoggia direttamente, ma in modo larghissimo, all'esempio degli antichi maestri?
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Alessandro Manzoni
Studio biografico
di Angelo De Gubernatis
Le Monnier Firenze 1879
pagine 296 |
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