Le conosceva invece benissimo e le faceva gustare vivamente al pubblico affollato di Zurigo nell'anno 1856 l'illustre critico Francesco De Sanctis, conchiudendone la lettura concitata con queste belle parole: "Non è una Marsigliese, neppure una poesia del Berchet, potentissimo de' nostri poeti patriottici. Ne' versi di costui sentite una certa profondità di odio che spaventa, la tristezza dell'esigilo, l'impazienza del riscatto, ed un tale impeto e caldo di azione che talora vi par di sentire l'odore della polvere ed il fragore degli scoppi; qui è il suo genio. La poesia del Manzoni non è solo un inno di guerra agl'Italiani, ma un richiamo a tutte le nazioni civili; la parola del poeta è indirizzata agl'Italiani ed ai Tedeschi insieme. In tanta concitazione di animi non gli esce una sola parola di odio, di vendetta, di bassa passione; lontano parimente da ogni iattanza, non vi è il fremito e la spuma della collera, ma la quieta temperanza di un'anima virile." Ma questa bellissima tra le liriche manzoniane fu il meno fortunato de' suoi componimenti; nato nel marzo del 1821, alto scoppiar della rivoluzione torinese, quando s'attendeva da un giorno all'altro che l'esercito liberatore piemontese varcasse il Ticino, compresso dalle armi del Bubna e del Latour ogni moto rivoluzionario in Piemonte, rimase nascosto fino al giugno dell'anno 1848, quando la rivoluzione lombarda non solo era già scoppiata, ma ferveva calda e vivissima la pugna fra gl'Italiani e gli Austriaci. Prostrata nuovamente ogni speranza italiana, tornò a nascondersi in Lombardia fino all'anno 1859, e solo fece capolino nella Rivista Contemporanea dell'anno 1856, dopo che il De Sanctis l'ebbe recitata a Zurigo.
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Alessandro Manzoni
Studio biografico
di Angelo De Gubernatis
Le Monnier Firenze 1879
pagine 296 |
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