Egli era d'avviso che si dovesse pensare e sentir alto, ma scriver piano; e come Dante avea creata la lingua poetica italiana, il Manzoni, anco se non vi pretendeva, riuscì a fondare veramente la nuova prosa italiana. Si dirà; ma come? Il Foscolo ed il Monti non avevano forse preceduto il Manzoni? Sì, ma oltre che nessuno de' due ha presentato all'Italia una prosa così ricca di fatti, di osservazioni, d'idee originali, di affetti veri e di tipi scolpiti come i Promessi Sposi, l'uno e l'altro scrisse sempre con un po' di enfasi rettorica, con un po' di pompa teatrale, che ad ogni lettore di buon senso, per poca che sia, deve sempre apparire soverchia. Il Manzoni dovea fin da giovinetto aver meditato il libretto del suo nonno Beccaria sopra lo Stile, un libretto scritto male, ma pensato bene(64); l'articolo del Verri intitolato: "Ai giovani d'ingegno che temono i Pedanti," e i discorsi che si facevano contro l'Arcadia e contro la Crusca nell'Accademia, della quale l'Imbonati era stato presidente; ma, trovando poi giusto tutto ciò che si scriveva contro i parolai, gli Aristotelici della letteratura, i pedanti, i retori, egli credeva pure che si dovesse far qualche sforzo per mostrare che lo stile poteva acquistar nuova nobiltà dalla sua stessa naturalezza. Il Manzoni contribuì ad innamorare più fortemente l'odierna Italia della sua lingua, con l'occuparsene egli stesso per un mezzo secolo, col tornare pazientemente per tre lustri sopra la lingua de' Promessi Sposi, col fine di purgarla dalle sue voci improprie; l'efficacia che per tale riguardo egli esercitò col proprio esempio, si sente ancora e non può venir disconosciuta.
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Alessandro Manzoni
Studio biografico
di Angelo De Gubernatis
Le Monnier Firenze 1879
pagine 296 |
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