Chi legge i Promessi Sposi come un libro ordinario, non può gustarli se non mediocremente; chi vi cerca tutto ciò che l'Autore ha voluto mettervi, non può mancare di trovarvelo, e di ammirare, senza fine, l'Autore che, con mezzi quasi umili, seppe ottenere effetti massimi. Si, Renzo e Lucia sono povera e zotica gente, e se il Manzoni ce li figurasse soltanto come tale, senz'altre sue malizie, comprenderemmo poco i motivi che spinsero un così alto ingegno a raccogliersi tutto negli anni più vigorosi e potenti della sua vita sopra una materia così scarsa d'inspirazione. Ma il Manzoni ha voluto appunto l'opposto di quello che si vuole generalmente, non inalzare sè sopra un soggetto nobile, ma inalzare e nobilitare un soggetto quasi ignobile, col versarvi dentro la miglior parte di sè. Egli adopera i suoi poveri contadini con quella stessa malizia, con la quale egli si serve talora di similitudini volgari per dichiarare meglio certi pensieri che, alla prima, non appaiono nella loro piena evidenza. Sotto i grossi panni del villano di Lecco si trova sempre il cervello sottile del Manzoni. Se la fine ironia che vi è dentro non si coglie, il racconto può talora riuscire insipido, e le riflessioni che lo accompagnano sembrare superflue. Quando l'Autore intraprende, per esempio, a descriverci quello che sia propriamente un carteggio fra contadini, i quali sogliono ricorrere ad un letterato della loro condizione per far sapere i loro negozii ai lontani, osserva: "al letterato suddetto non gli riesce sempre di dire tutto quel che vorrebbe, qualche volta gli accade di dire tutt'altro; accade anche a noi altri, che scriviamo per la stampa;" questa specie di prima punta maliziosa c'incomincia ad avvertire di che veramente si tratta; e il fine della descrizione riesce a persuadercene del tutto: "Quando la lettera così composta arriva alle mani del corrispondente, che anche lui non abbia pratica dell'abbicci, la porta a un altro dotto dello stesso calibro, il quale gliela legge e gliela spiega.
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Alessandro Manzoni
Studio biografico
di Angelo De Gubernatis
Le Monnier Firenze 1879
pagine 296 |
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