Nella seconda parte del suo scritto, il Manzoni cogliendo l'occasione che gli si offre di cercare quello che gli storici avean detto degli Untori, intraprende pure una critica eruditamente demolitrice di Pietro Giannone, storico audacemente plagiario, e la conchiude con queste parole: "Chi sa quali altri furti non osservati di costui potrebbe scoprire chi ne facesse ricerea; ma quel tanto che abbiam veduto d'un tal prendere da altri scrittori, non dico la scelta e l'ordine de' fatti, non dico giudizii, l'osservazioni, lo spirito, ma le pagine, i capitoli, i libri, è sicuramente, in un autor famoso e lodato, quel che si dice un fenomeno. Sia stata, o sterilità, o pigrizia di mente, fu certamente rara, come fu raro il coraggio, ma unica la felicità di restare, anche con tutto ciò (fin che resta), un grande uomo. E questa circostanza, insieme con l'occasione che ce ne dava l'argomento, ci faccia perdonare dal benigno lettore una digressione, lunga, per dir la verità, in una parte accessoria di un piccolo scritto."
Dopo aver citato i versi del Parini, che fanno eco alla tradizione popolare degli Untori e della Colonna infame:
O buoni cittadin, lungi, che il suoloMiserabile infame non v'infetti,
Il Manzoni soggiunge. "Era questa veramente l'opinione del Parini? Non si sa; e l'averla espressa così affermativamente bensì, ma in versi, non ne sarebbe un argomento; perchè allora era massima ricevuta che i poeti avessero il privilegio di profittar di tutte le credenze, o vere o false, le quali fossero atte a produrre un'impressione o forte o piacevole.
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Alessandro Manzoni
Studio biografico
di Angelo De Gubernatis
Le Monnier Firenze 1879
pagine 296 |
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