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      Il Fauriel inclinava a credere che, quindi in poi, la lotta condurrebbe la poesia propriamente detta a rimanere ogni dì più soccombente. Il Manzoni pensava altrimenti, e sosteneva contro le apparenze e i cattivi pronostici che la poesia non ha volontà di morire. E tutti due s'accordarono a dire che, in un certo sistema di romanzo, "c'è posto per l'invenzione de' fatti nella rappresentazione di costumi storici." Ebbene, la è questa appunto, replicava il Manzoni, una di quelle forze potentissime che restano tuttavia alla poesia, la quale, com'io vi diceva, non ha volontà di morire. La narrazione storica non è fatta per lei; giacchè il racconto de' fatti ha virtù di svegliare nell'uomo, naturalmente e ragionevolmente curioso, una tale attrattiva da disgustarci delle invenzioni poetiche che vi si volessero mescolare fino a farle parere puerili. Ma riunire i caratteri distintivi di un'epoca della società, rischiararli o porli in moto con un'azione, profittar della storia senza mettersi in concorrenza con essa, senza pretender di fare quel che esse sa far meglio sicuramente, ecco ciò che mi sembra tuttavia riservato alla poesia; che anzi essa sola può fare. "Non crediamo ingannarci (soggiunge il Sainte-Beuve), epilogando per tal modo l'opinione del poeta."
      (61) Ecco le parole proprie del Filangieri, quali si possono leggere nel libro IV, capo 40, art. 3°, della Scienza della Legislazione: "Io propongo la lettura de' romanzi pe' fanciulli che sono giunti all'età che si richiede secondo l'ordine da noi esposto (cioè l'età di nove anni compiuti), per assistere ai morali discorsi.


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Alessandro Manzoni
Studio biografico
di Angelo De Gubernatis
Le Monnier Firenze
1879 pagine 296

   





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