Ma in tutti gli altri casi, quando studia dei caratteri dissimili dal suo, e specialmente in tutta la grande categoria dei caratteri femminili, ciò che cade sotto la sua diretta osservazione non sono che gli atti, le parole, i gesti. Ora, se si riflette che non solamente il numero dei gesti, delle parole e degli atti non è proporzionato al numero infinito dei pensieri - che, per dir meglio, non hanno numero, essendo una successione continua ed omogenea - ma che i medesimi atti, le medesime parole, i medesimi gesti servono a diversissimi uomini, per diversissimi motivi in diversissime circostanze, si vede quanta poco probabilità di successo vi sia nel desumere dagli indizii esteriori il processo latente che si svolge nelle singole coscienze. Se si riflette ancora che noi stessi non ci sappiamo spesso dar conto di noi stessi, l'impresa apparisce in tutta la sua ingrata difficoltà. Le ricostruzioni psicologiche dei romanzieri, pertanto, sembrano poggiate sopra una base poco solida e risultanti da induzioni più o meno possibili; e, in fondo, anche quando lo scrittore non parla di sè stesso, la sua analisi altruistica si risolve nel prevedere simpaticamente ciò che, nella pelle dei suoi personaggi, egli stesso proverebbe e penserebbe. I realisti, invece, presumendo di dar l'impressione del reale, fanno agire i loro personaggi, riproducono ciò che in essi è apparente, lasciando ai lettori l'imaginare quel che vi si passa internamente; tal'e quale come nella realtà, in cui noi vediamo degli uomini e delle donne che parlano e che si muovono, e non delle anime messe a nudo e starei per dire scorticate.
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